VA Culture

Associazione Culturale Villa Abbamer

Visita al Museo della Forma Urbis

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15 febbraio ore 15

Ci accompagna l’archeologa Sabrina Di Sante

Allestito all’interno dell’Ex Palestra della Gioventù Italiana del Littorio, il Museo della Forma Urbis custodisce i frammenti superstiti di una grande planimetria di Roma incisa su 150 lastre di marmo tra il 203 e il 211 d.C., originariamente esposta sulla parete di un’aula nel Tempio della Pace, in seguito inglobata nel complesso dei SS. Cosma e Damiano. Si tratta di uno dei più rari documenti giunto a noi dall’antichità, che restituisce un panorama unico del paesaggio urbano di Roma antica. Nella sua integrità, su di una superficie di 18x13m circa erano rappresentati almeno 13.550.000 m2 di città attraverso una moltitudine di sottili incisioni che raffiguravano le planimetrie degli edifici di Roma, a una scala media di circa 1:240. Considerata la posizione, la difficile leggibilità e la generale assenza di dettagli, è probabile che la pianta marmorea avesse, più che una finalità pratica, una funzione di propaganda e di celebrazione del potere, fornendo all’osservatore una visione generale della città e dei suoi grandiosi monumenti, le cui sagome erano facilmente individuabili anche grazie all’uso del colore.
Anche se rinvenuti a centinaia, a partire dal 1562 e fino ai pezzi scoperti più di recente,  i frammenti della Forma Urbis costituiscono circa un decimo della pianta originale, in uno stato di conservazione che varia da piccole schegge a settori di lastra con interi quartieri, case, portici, templi e botteghe. Solamente per circa 200 frammenti circa è stato finora possibile raggiungere un’identificazione e un’ideale collocazione sulla topografia moderna.
A distanza di un secolo dall’ultima sistemazione complessiva degli originali nel Giardino del Palazzo dei Conservatori, tra il 1903 e il 1924, il nuovo allestimento del Museo della Forma Urbis restituisce la pianta marmorea a una piena fruizione tanto per la comunità scientifica quanto per i visitatori, con un progetto espositivo mirante a favorire la leggibilità di un documento che per ingombro e condizioni frammentarie poco si presta a una comprensione immediata. Negli spazi interni dell’edificio museale – che ospita anche una consistente scelta del materiale architettonico e decorativo dell’Antiquarium Comunale – sui pavimenti delle sale sono collocati i frammenti della Forma Urbis, sovrapposti, come base planimetrica, alla Pianta Grande di Giovanni Battista Nolli del 1748. I visitatori possono così effettuare un vero e proprio viaggio nella città antica, apprezzando i particolari delle planimetrie con una visione il più possibile ravvicinata e zenitale.

La Forma Urbis severiana è stata realizzata tra il 203 e il 211 d.C.: vale a dire tra l’anno della costruzione del Septizodium – il ninfeo monumentale che troviamo rappresentato nella pianta – e quello della morte di Settimio Severo, che è menzionato su una delle lastre insieme al figlio maggiore, il futuro imperatore Caracalla.

Originariamente era esposta sulla parete di un’aula nel Tempio della Pace, che fu in seguito inglobata dal complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. La parete su cui la pianta era affissa corrisponde all’odierna facciata della Basilica.
Lo studio delle tracce presenti sulla parete ha consentito di ricostruire ingombro e dimensioni della Forma Urbis: la pianta era incisa su 150 lastre di marmo applicate alla parete con perni di ferro ed occupava 18 x 13 m circa.

E venne realizzata quando le lastre erano già montate sulla parete.
Fu ricavata da un grande rilevamento catastale della città, riprodotto in modo semplificato, ed è orientata, secondo l’uso romano, con il Sud-Est in alto e non il Nord.
Si tratta di uno dei più rari documenti giunto a noi dall’antichità, che restituisce un panorama unico del paesaggio urbano di Roma antica.
Nella sua integrità, su di una superficie di quasi 235 mq erano rappresentati circa 13.550.000 mq di città antica attraverso una moltitudine di sottili incisioni che raffiguravano le planimetrie degli edifici di Roma, a una scala media di circa 1:240.
Considerata la posizione, la difficile leggibilità e la generale assenza di dettagli, è probabile che la pianta marmorea avesse, più che una finalità pratica, una funzione di propaganda e di celebrazione del potere, fornendo all’osservatore una visione generale della città e dei suoi grandiosi monumenti, le cui sagome erano facilmente individuabili anche grazie all’uso del colore.
Dopo la scoperta nel 1562 e la lunga permanenza a Palazzo Farnese (1562-1741), molti frammenti andarono perduti e dispersi. Le lastre finirono in parte frantumate e usate come materiale da costruzione per i lavori farnesiani del Giardino sul Tevere.
La pianta marmorea è entrata a far parte delle collezioni dei Musei Capitolini dal 1742. Quello che rimane oggi è circa un decimo del totale della pianta.
Delle centinaia di frammenti, da piccole schegge a settori di lastra con interi quartieri, solo circa 200 sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.